La quiete prima della tempesta.

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Vacerra, la tua ammirazione
è per gli scrittori del passato
e lodi solo i poeti che son morti.
Noi, Vacerra, ti chiediam perdono:
non val proprio la pena di morire
per poterti piacere.

(Marziale)

Agitazioni politiche, rivoluzioni fiorentine e pubblico schizzinoso, io vado a fare un giro nei miei ricordi incontaminati. L’assordante rumore dell’allarme antincendio infrange la quiete di una qualsiasi domenica e, in quell’esatto istante, decido d’interrompere l’amena lettura delle variopinte considerazioni di quei bontemponi che, mandato al diavolo Socrate, bramano di mostrare le loro infinite competenze. Dal tema Renzi-Berlusconi all’abbigliamento “tipo” del “Pitti Uomo 85”, ne ho lette così tante, al limite della commozione, da voler fare una dedica cordiale. Perchè? Perchè ancora una volta ho trovato la grande bellezza nella voglia di fare, nel desiderio di rompere il circolo vizioso nel quale, senza un minimo di premura, rischiamo di finire tutti. Ho voglia di vedere persone coraggiose che non temano d’indossare i propri migliori propositi ed esibirli in maniera intelligente, confrontarsi con una società che, al di là di ogni pessimismo, ha da offrirci molto e mettersi in gioco nonostante l’ostilità di un Vacerra a caso.

Ho disegnato un fiore.

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Ho disegnato un fiore sulla mano di una bambina, poi un albero, poi un cuore. Ho disegnato con un sorriso lo spontaneo potere di quegli occhi che non trovo lungo le strade che percorro. Non c’erano lancette né scadenze, soltanto il sapore dell’immaginazione. E non parlo esclusivamente di quella dei bambini, ma del mio tentativo di addentrarmi in quell’imperscrutabile dimensione del loro animo. Colori che si sovrappongono nella costituzione di figure, pensieri, desideri che forse non esprimeranno mai o forse sono già realtà. Parole a metà e risate di gusto, non semplicemente dati da un istantanea esplosione, ma frutto di un bisogno che è quello di disegnarci un mondo di energie troppo complesso per noi che corriamo veloci ad inseguire il tempo. E così, mentre lui, il piccino, indicava a mezz’aria, io cercavo disperatamente sul tavolino un oggetto e non potevo immaginare che ciò che cercava, forse, non l’avrei trovato lì, non oltre la porta ma, piuttosto, nei suoi sogni. Magari le sue mani non avrebbero toccato mai ciò cui tendevano, la sua mente avrebbe lasciato volar via quel pensiero accompagnato da quella carezza della piccola che, cancellata ogni lacrima, disegnava un sorriso. E in quello sguardo scambiato tra loro ho immaginato mille mondi, mille colori e li ho fatti un po’ miei per imparare che l’ossigeno, quello vero, nasce dalla magia delle anime pure, libere dai condizionamenti della realtà che ci forgia e ci induce nei suoi prototipi alla ricerca di effimere certezze. Ho sorriso e loro mi hanno capita.

Komorebi.

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Di quante parole abbiamo bisogno per esprimere un’emozione? Il linguaggio umano ha qualcosa di magico e terrificante insieme, assume forme e dimensioni inattese, impensabili, addirittura. Spesso confonde, a volte scioglie nodi troppo stretti, se utilizzato con ingegno puó ingannare. C’è chi, poi, accosta pochi termini e ne fonde il potere concettuale creando istantanee vibrazioni, foriere di sogni e immagini mai percepiti e che, probabilmente, non saranno percepiti mai, impressi su un foglio così come nei cuori.
Siamo delle anime in movimento, ognuna con un proprio testo nero su bianco, concluso da puntini di sospensione. Qualcuno è una poesia d’amore, qualcun altro un avvincente romanzo d’avventura. C’è l’articolo di cronaca nera e quello di cronaca rosa, l’epigramma pungente, il poema che bisticcia con l’epillio. Per non parlare dei ricordi infiniti del romanzo storico che si ferma a parlare con la tragedia, mentre lì accanto c’è la commedia che ascolta e prende spunto.
Scegliamo la convenzione per poterci salvare dal potere dei sentimenti, spesso preferiamo affidarci ad un insieme di segni e suoni semplicemente per racchiudervi l’essenza illimitata del messaggio degli occhi, del cuore, dell’anima, e non sempre sbagliamo.
La parola è un dono e una scoperta, la parola è il frutto spirituale di un incontro tutto interiore tra i due sovrani del nostro essere.

Isabel Marant for H&M.

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Isabel Marant incontra H&M e il mondo della moda se ne innamora. Una collezione poliedrica ed equilibrata in cui è il dettaglio a vincere sulla forma. Modelli classici accostati tra loro nella creazione di un effetto ottico equilibrato ma elettrizzante, alla ricerca di una compensazione di spunti. Il pantalone stringato e il maxi pull intessuto in total “Black and White” incontrano il cardigan dalla texture tra il minimal e l’etnico. Dominano frammenti di colore sparsi qua e là senza troppo ordine, come in un universo di linee luminose che si incontrano, s’intrecciano e si scontrano, la cui collisione esplode in un susseguirsi di capi vivi. Una giacca, in particolare, ha catturato il cuore delle più note it-girls, sempre alla ricerca di un nuovo accessorio, probabilmente la summa dell’intera collezione racchiudendo in sè particolari cromatici e geometrici di estrema ricercatezza. La corsa alla foto degli ultimi tre giorni ha visto protagoniste Anna Dello Russo, Leandra Medine, Miroslava Duma e siamo solo all’inizio.

Spot | Petit Closet

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Come ogni esperienza, quella dello spot girato per il mio adorato negozio “Petit Closet” ha portato con sè scoperte, curiosità, novità, insomma quella freschezza che non è, spesso, facile trovare nella quotidianità. E non mi riferisco semplicemente a ciò che comporta indossare un abito e posizionarsi davanti ad una telecamera o macchina fotografica, ma alla componente creativa che si attiva nella mente e nel cuore di chi, in fondo, in questo mondo crede davvero. Uno scambio intenso di pareri, opinioni che probabilmente non è possibile concepire guardando dall’esterno qualche semplice foto e non solo. Risate, prove, idee che hanno pervaso una serata fantastica. Il tema, “Black and Gold”, mai scontato e sempre più di tendenza ha condotto alla scelta di look e accostamenti che, per me, è sempre entusiasmante. Tra paillettes e luccichii vari, ho incontrato, come sempre, persone fantastiche e belle sensazioni.

 

Istantanei squarci.

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Difficile poter trovare il proprio posto nel mondo quando ogni luogo è anima, e non parlo di pneuma né di spiragli alternativi alla solita, costante presenza di componenti incancellabili. Parlo di presenza propria senza esclusione di termini. Siamo ovunque e da nessuna parte, l’anima viaggia oltre le traiettorie progettate, studiate, disegnate su una cartina e percorse con la pesantezza della materia che, sì, ci portiamo dietro, ma relativamente gravosa. C’è, lì, quella lotta costantemente aperta in un posto assoluto e astratto, paradossalmente tangibile più di qualsiasi statua gloriosa o frammento di muro, più ancora di pareti che racchiudono cosa? Soprammobili? Stoviglie? Oggetti? Parole? Aria? No, lì non c’è l’anima se lei decide di sgattaiolare fuori e impossessarsi di un altro stralcio di esistenza, anche se, a conti fatti, torna sempre alla base. Recupera quel posticino con l’elasticità unica di ciò che immateriale dovrebbe essere ma  non è. E riprende a tessere la sua tela, senza posa, continua a srotolare fili e creare, creare. Che siano stracci, fazzoletti, sciarpe o meravigliosi abiti da sera, lei è lì che tesse. Spizzica dal mondo, compie un rapido giro su se stessa alla ricerca di una risposta che, forse, giunge al momento giusto o forse no e dialoga col compagno di una vita che vive lì, al piano superiore. Non vanno sempre d’accordo, sia chiaro. A volte lui la sgrida, a volte la ignora, talvolta addirittura la comprime operando violenze oltre misura, ma lei non smette di scappare e tornare e tessere le sue tele. Lui le strapperebbe, le distruggerebbe se potesse perché non può perdere tempo, non può fermarsi. Le sue priorità non sono quelle. Ma lei va e nessuno può fermarla.

E non è comunque finita qui, perché me la porto sempre dietro.

Skull-Scarf.

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Un imperativo più che un accessorio, quello che dieci anni fa ha fatto al sua prima apparizione sulle passerelle lasciando un indelebile marchio nel mondo della moda che oggi, ricorda ancora una volta e con ammirazione sempre maggiore uno dei più grandi artisti del design, Alexander Mcqueen. Un volto scavato che lascia alle spalle occhi ammirati con un filo di malinconia e apre uno squarcio nella dimensione emotiva di chi riesce ancora ad intravedere l’ombra della mano che originò capolavori. Damien Hirst celebra la leggendaria Skull-Scarf con una collezione limitata che sarà lanciata tra due giorni. Sovrapposizioni e ricomposizioni di volti, teschi stilizzati prendono vita in un turbine di colori e farfalle e geometrie per celebrare la nuova vita o, se vogliamo, quella eterna che si insinua nei richiami più impercettibili del “mcqueenico” partimonio artistico. Un po’ come la poesia, un po’ come la scultura o qualsiasi espressione che possa affidare all’incessante corsa del tempo un frammento di luce, così un accessorio diventa preziosa eredità, se non, addirittura, materiale testamento di una legge predisposta all’evoluzione e alla nuova ricerca perché nulla venga abbandonato.

Missoni for Converse collabo sneakers.

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Fenomeno instagram, fenomeno ‘selfie’. Sì, perchè l'”Oxford English Dictionary” ha recentemente aggiunto questa parola tra le sue pagine, selfie, in genere un autoritratto scattato da sè per mezzo di un apparecchio digitale, tendenzialmente uno smartphone.  Impossibile parlare, oggi, di un fenomeno in rapida ascesa: siamo al momento di affermazione e dominio di uno stile di vita improntato sulla documentazione “istantanea” della propria vita, dei propri viaggi, del proprio abbigliamento. L’occhio cade sul dettaglio fashion, colorato e innovativo di quello che si suole definire “outfit”. E perchè non fare di questo boom un mezzo pubblicitario? Consolidata e forse anche un pò messa da parte la moda delle campagne in stile Polaroid (lasciamo passare qualche anno per recuperare certe pratiche), case di moda e non cercano nuovi mezzi espressivi. Ecco aperta la sfida all’insegna dello scatto migliore, per pubblicizzare il connubio Missoni-Converse, e il web si riempie di scarpette coloratissime che attraversano il mondo qua e là, passeggiando e lavorando, uscendo o rientrando, alla fermata dell’autobus o comodamente seduti alla propria scrivania.

Two sides of one soul.

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<<I often describe it as two sides of my personality. The fashion side is much more the extrovert, the playful side. The other side is much more introverted; a solitary process>>.  Ianus, divinità latino-romana più comunemente conosciuta come Giano, nasce etimologicamente dalla radice indoeuropea “ei” ampliata in “y-aa” dal significato di “passaggio”, con immediata esplicazione nella duplice natura della figura divina. Due, tre, dieci, cento, non voglio dilungarmi in osservazioni pirandelliane sulla molteplice espressione dell’essenza di ogni singolo individuo, dalle pulsioni sentimentali alla materialità. Una cosa, però, posso affermarla: l’arte apre, scopre, scava e diversifica generando percorsi mentali ed emotivi che necessitano di concretezza ed espressione. Ecco spiegato lo strano caso di Viviane Sassen, artista eclettica che traspare da ogni suo scatto in un susseguirsi di luci ed ombre, figure e colori. Moda ed arte figurativa si sovrappongono l’una all’altra fondendosi e lottando per una ricerca che potrà trovare fine, forse.. Pose naturali e non, spesso scomposte in attesa di essere riordinate da processi mentali terzi e accostamenti audaci di sensazioni e brividi in un concentrato di vita che desidera e rifiuta consapevolezza di sè. <<For me it’s important that images somehow confuse me or disturb me or grasp me for a long time. We live in a culture where there are so many images being thrown at us all the time. I try to make them more challenging for the eye and the mind>>. Evasione per i sensi e per la mente dagli schemi mentali imposti dalla prassi senza limiti di sorta, quando ad essere ritratte sono quelle stesse immagini che tanto spesso guardiamo da un punto di vista superficiale. Un Ready-made indotto che svela dimensioni interiori sconosciute a noi stessi.